lunedì 16 settembre 2013
Hans Ruesch per l'abolizione della vivisezione. Ora
Hans Ruesch per l'abolizione della vivisezione. Ora.
10. Un caso esemplare: il fumo di tabacco
Come si sa, il tumore ai polmoni è considerato oggi la prima causa di morte per tumore, e solo negli Usa è responsabile di 150.000 vittime all’anno; la stima annua in tutto il mondo arriva al milione. Il progresso terapeutico per questo tipo di cancro è stato scarso; un recente editoriale di Nature dichiara che “Per il futuro prevedibile, il fumo ucciderà più gente di quanta i ricercatori nel campo dei tumori possano sperare di curarne”. (rif. 57)
Generalmente si attribuisce all’inglese Richard Doll il merito di aver scoperto, nel 1953, la connessione tra fumo e tumore ai polmoni - grazie a un’indagine epidemiologica. Ma la verità è un po’ più complessa, se già nel 1933 il triestino Enrico Ferrari poteva scrivere che “senza dubbio” il fumo di sigarette era una causa principale di cancro al polmone. (rif. 58)
La relazione tra fumo e tumore a labbra, bocca, gola ecc. era stata individuata fin dal XVIII secolo, su base clinica ed epidemiologica, ma quella con il tumore al polmone era stata definita chiaramente solo alla fine degli anni V enti.
Ciò era avvenuto in maniera particolarmente incisiva nel 1929 in un articolo del medico tedesco Fritz Lickint, il quale, dieci anni dopo, pubblicava una monografia di 1100 pagine su “Tabacco e organismo”, che è stata detta “probabilmente il più completo atto d’accusa erudito mai pubblicato sul tabacco”. (rif. 59)
In essa si sosteneva anche il rischio cancerogeno del “fumo passivo” (proprio questo il termine usato da Lickint). In una dissertazione dello stesso 1939 un altro studioso tedesco, Franz H. Mueller, definiva “lo straordinario aumento nell’uso del tabacco” come “la più importante singola causa della crescente incidenza del cancro ai polmoni”. Questi risultati indussero le autorità sanitarie nella Germania nazista a impostare un’aggressiva ed efficace campagna anti-fumo.
Prima che queste nozioni si facessero strada, in parte, negli altri paesi europei si dovette però aspettare per parecchi anni. Le prime dichiarazioni ufficiali sul nesso tra fumo di tabacco e tumore al polmone risalgono al 1962 (da parte del Royal College of Physicians britannico) e al 1964 (il Surgeon General degli USA), eppure non bastarono a mettere a tacere i dubbi espressi da autorità in cancerologia. Ora, l’argomento principe degli scettici è sempre stato la mancata riproduzione dell’effetto sugli animali, a volte implicito nella critica che “la scienza medica non ha trovato le cause fondamentali del cancro al polmone”. (rif. 60)
E ancora nel 1964 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomandava l’esecuzione di ulteriori studi vivisezionisti sugli effetti del fumo. (rif. 61) Per convincersi di questo dato storico essenziale per una corretta valutazione dei meriti della vivisezione, è opportuno consultare un certo numero di testi intorno a quegli anni. Nel 1954, in un volume intitolato Biochimica del Cancro, l’autore, J. P. Greenstein, scriveva: La debolezza essenziale degli argomenti a favore [di una connessione causale tra cancro al polmone e fumo di tabacco] è dovuta alla mancanza di qualsiasi solida evidenza sperimentale [cioè, vivisezionista] che il tabacco è cancerogeno. (rif. 62)
Nel 1957 un noto esperto nel campo dei tumori osservava:
L’insuccesso di molti ricercatori nell’isolare uno specifico cancerogeno umano dal tabacco, così come la loro incapacità di indurre tumori sperimentali tranne che in una manciata di casi, getta un serio dubbio sulla validità della teoria sigaretta-cancro al polmone. Sfortunatamente, i risultati negativi raramente ottengono i titoli di testa, cosicché il pubblico è spesso messo nella posizione di confondere l’eccezione con la regola [...]. (rif. 63)
In altre parole: il fatto che in casi sporadici ci fosse induzione di tumori negli animali (vedremo sotto di che cosa si trattava) non poteva certo essere preso come conferma della suddetta “teoria”, e il pubblico non doveva farsi allarmare dalle notizie circa quei casi. Un argomento ineccepibile, tranne che per l’indebita assunzione che senza
una prova vivisezionista la “teoria” non era credibile. In un importante volume monografico ed enciclopedico di qual- che anno dopo (1961), si parla del
fatto incontrovertibile che [...] la questione della produzione dei tumori negli animali di laboratorio per mezzo di cancero- geni del tabacco è controversa, se non addirittura caotica. (rif. 64)
Facciamo un salto di vent’anni (1975) e consultiamo un libro scritto da un medico e dedicato alla “lotta contro il cancro”:
[...] l’induzione del cancro al polmone con il fumo di tabacco non è stata realizzata. Si è progettato quasi ogni concepibile esperimento per indurre in animali cancri al polmone che duplicassero i cancri al polmone che si trovano nell’uomo. Si sono fatti fumare e inalare polli e cani, ma non si è sviluppato alcun convincente cancro al polmone. Centinaia di topi hanno passato l’intera vita in stanze riempite di fumo, eppure non si è trovato alcun aumento nel cancro al polmone [...] (rif. 65)
Tra questi interventi se ne situa uno datato 1956, dell’allora direttore medico e scientifico della American Cancer Society, Charles S. Cameron. In esso viene chiarita con insolita schiettezza la natura del problema e dai dati disponibili all’epoca si traggono conseguenze molto diverse da quelle accettate da alcuni degli autori sopra citati.
Cameron confermava che i risultati epidemiologici, pur perfetta- mente coerenti e convincenti, erano ancora squalificati da taluni, perché privi di una corrispondente “dimostrazione in laboratorio”. E dopo aver messo in guardia dalla sottovalutazione dell’evidenza clinica, dichiarava che finalmente si era riusciti a creare su topi, in laboratorio, un “vero cancro” alla pelle, e ciò nel 26% dei casi... In che modo? Condensando il fumo di sigarette accese e pennellando con il ‘catrame’ risultante la schiena dei topi. (rif. 66)
Naturalmente si era provata anche la via più ovvia. Ma - come abbiamo visto - far inalare fumo agli animali semplicemente non funzionava. Cameron spiegava come questo fatto andasse interpretato:
[...] in considerazione dei pochi esperimenti di inalazione che sono stati portati avanti abbastanza a lungo da dimostrare una qualsiasi influenza cancerogena che il fumo possa avere, sarebbe stato uno stupefacente colpo di fortuna [astonishingly fortuitous] se proprio la tecnica giusta fosse stata usata nell’applicare fumo di tabacco proprio nella giusta quantità, proprio durante il giusto intervallo di tempo e proprio sul tessuto giusto di proprio l’animale giusto.
E, in una prospettiva più generale:
I problemi di produrre il cancro nel laboratorio di ricerca sono estremamente complessi e lungi dall’essere ancora compresi.
Ciò che causa cancro in una specie non necessariamente lo causerà in un’altra. Ciò che causa cancro in un tessuto di un animale non necessariamente lo causerà in un altro tessuto dello stesso animale.
È quindi concepibile che se il fumo di tabacco contiene davvero un agente che causa cancro nei polmoni di esseri umani, può non avere questo effetto nei polmoni o in qualsivoglia altro organo di un topo, o di una cavia, o di un cane. [Cameron 1956]
E a conferma Cameron dava un esempio: benché ci fossero prove statistiche, generalmente accettate, del fatto che i cromati inducono cancro nell’uomo, “nessuno è mai riuscito a produrre cancro in un animale da esperimento con cromo o qualsiasi com- posto contenente cromo”.
Queste citazioni mettono in evidenza diversi fatti fondamentali, in pieno accordo con le tesi sostenute nelle sezioni precedenti:
• che il tipo di fenomeno patologico che si intende come la ‘duplicazione’ della patologia nell’uomo è qualcosa che non può essere determinato a priori;
• che se non fosse preesistita una base clinica ed epidemiologica tale da convincere ad insistere con le sperimentazioni non si sarebbe mai arrivati ad alcun risultato “adeguato”;
• che aspettare una conferma attraverso la vivisezione prima di qualificare come ‘scientificamente dimostrata’ la cancerogenicità del fumo di tabacco ha ritardato la presa di provvedimenti sanitari e le campagne di informazione;
• e che, infine, l’arbitrarietà nella scelta dei tempi, delle dosi, e della specie su cui provare la sostanza rende possibile dimostrare con la vivisezione la cancerogenicità, o l’innocuità, di praticamente qualsiasi sostanza.
Qual è la situazione oggi dopo quasi mezzo secolo? Ci possiamo rivolgere all’archivio della International Agency for Research on Cancer (IARC) di Lione, collegata all’OMS (vedi sito ). Per quanto riguarda l’inalazione di fumo di tabacco, fino a poco tempo fa la IARC dava le seguenti informazioni (“Tobacco Smoke”, sotto “B. Evidence for carcinogenicity to animals”):
Il fumo di sigarette è stato testato per la cancerogenicità mediante inalazione in topi, ratti, criceti e cani. L’esposizione di criceti e ratti al fumo intero produsse tumori maligni del tratto respiratorio [ref:1].
Nei topi, l’inalazione del fumo di tabacco intero ebbe come risultato un leggero aumento nell’incidenza dei tumori al polmone alveogenici, ma ciò non era statisticamente significativo in alcuni degli studi [ref:1,3].
È stata riportata un’incidenza di tumori al polmone anche nei cani esposti al fumo di sigaretta, ma i dati erano insufficienti per la valutazione. Tumori del tratto respiratorio sono occorsi in roditori esposti sia al fumo di sigarette che a 7,12-dime- tilbenz[a]antracene in misura maggiore che se esposti ad ognuno di essi preso da solo; lo stesso è vero per la concomitante esposizione al benzo[a]pirene o a derivati figli del radon [ref:1]. [Ultimo aggiornamento: feb. 1998]
Si notino le differenze tra le specie (cfr. §5), e soprattutto la terminologia: “leggero aumento”, “non statisticamente significativo”, “dati [...] insufficienti”: di che nutrire altri decenni di esperimenti prima di ottenere la (adesso) desiderata ‘dimostrazione’.
Nel luglio 2002 la IARC modifica il testo annunciando il volume 83 della sua collana di monografie, intitolato Tobacco Smoke and Involuntary Smoking, e premettendo la seguente avvertenza generale:
A causa dell’importanza per la salute pubblica di queste valutazioni, i sommari sono inseriti sul sito, eccezionalmente, prima che il volume delle Monografie sia pronto per la stampa. Dettagli aggiuntivi potranno essere incorporati nei sommari durante il processo editoriale.
Insomma, si tratta di una questione urgente, che non può permettersi neppure qualche mese di attesa. E non si può non essere d’accordo. Stavolta lo spazio dedicato ai risultati ottenuti sull’uomo è molto più ampio e dettagliato che nel precedente sommario. Quanto agli animali ecco come inizia il testo corrispondente agli esperimenti di inalazione:
Il fumo di sigarette è stato testato per la cancerogenicità mediante studi di inalazione su roditori, conigli e cani. I sistemi modello per l’esposizione animale al fumo di tabacco non simulano pienamente l’esposizione umana al fumo di tabacco, e i tumori che si sviluppano negli animali non sono completamente rappresentativi del cancro umano.
Nondimeno, i dati animali forniscono preziose intuizioni [valuable insights] riguardanti il potenziale cancerogenico del fumo di tabacco.
Di nuovo un ottimo esempio dello stile tipicamente ambiguo ed evasivo della letteratura vivisezionista: gli esperimenti di vivisezione “non simulano pienamente”, “non sono completamente rappresentativi”, ma ciò nonostante “forniscono preziose intuizioni”. Sulle “intuizioni” un po’ meno “preziose” - quelle che, come abbiamo visto, hanno servito efficientemente la causa della minimizzazione dei dati clinici ed epidemiologici - l’estensore osserva il consueto silenzio. Ma dopo tanti decenni si sarà riusciti a riprodurre un tumore al polmone per inalazione in qualche animale? Ebbene:
L’evidenza più convincente di un effetto cancerogeno positivo del fumo di tabacco in animali è l’aumento riproducibile osservato in diversi studi dell’occorrenza di carcinomi della laringe nei criceti esposti a fumo di tabacco intero o alla sua fase particolata.
Carcinomi alla laringe nei criceti: questa è “l’evidenza più convincente”! Ma vediamo quella ‘meno convincente’, ma pur degna - a quanto pare - di essere riportata nella sintesi della IARC:
In quattro dei cinque studi su ratti, l’esposizione al fumo intero condusse a modesti aumenti nell’occorrenza di tumori al polmone maligni e/o benigni. Similmente, in quattro di otto studi su topi con varia suscettibilità allo sviluppo di tumore al polmone, l’esposizione al fumo intero condusse a un aumento modesto nella frequenza degli adenomi [che, si noti, sono tumori benigni (NdC)] al polmone. Un aumento dell’incidenza dei ‘tumori’ al polmone è stato riportato in cani esposti al fumo di tabacco, ma è incerto se le caratteristiche istopatologiche delle lesioni siano coerenti con la malignità.
In criceti esposti sia a fumo di sigarette che a cancerogeni chimici (N- nitrosodietilamina e 7,12-dimetilbenz[a]antracene), la risposta tumorale nel tratto respiratorio fu più alta che in criceti esposti all’uno o all’altro agente da solo.
Lo stesso è vero per ratti esposti simultaneamente a fumo di sigarette e a radionuclidi (progenie del radon e ossido di plutonio).
Il caos di risultati ambigui, “modest[i]”, “incert[i]” qui esemplificato si ritrova in centinaia di pagine del repertorio della IARC. Tuttavia in quest’ultimo bilancio troviamo per la prima volta una dichiarazione formale di cancerogenicità (al polmone) del fumo passivo - sessantatrè anni dopo le 1100 pagine di Lickint! - con la rituale dichiarazione che i ‘modelli animali’ “non simulano pienamente le esposizioni umane” e i loro tumori “non sono completamente rappresentativi del cancro umano”, ma che nondimeno i risultati forniscono “preziose intuizioni”.
Come si sa, le ditte produttrici di sigarette sono state giustamente condannate a ingentissime penali a causa della loro pubblicità ingannevole e omissiva. La domanda che si impone naturalmente a questo punto è: perché mai gli scienziati che ne hanno appoggiato la strategia pretendendo che senza prove su animali non si poteva dichiarare ufficialmente la connessione eziologica tra fumo (attivo e passivo) e tumore al polmone non hanno dovuto subire mai alcuna punizione, né pecuniaria né di altro tipo?
La ragione è che nella comunità biomedica si è riusciti a investire la vivisezione della intoccabilità di cui godono i dogmi - non importa se essa con la scienza ha ben poco a che fare (cfr. §§ 1,12). Ciò basta ad assolvere da qualunque accusa il professionista che ha basato su di essa i suoi giudizi errati, quali che ne siano state le conseguenze.
In effetti i danni alla salute collettiva prodotti per decenni dall’adesione delle istituzioni sanitarie al dogma vivisezionista anche solo per quanto riguarda la connessione fumo-cancro sono incalcolabili, ma i casi di indicazioni fuorvianti derivate dalla vivi- sezione circa la tossicità o non tossicità di sostanze agenti fisici sono molti, e includono, tra i più gravi, i raggi X, l’amianto, l’arsenico, le diossine ecc. (rif. 67)
È chiaro che questi danni da soli basterebbero a inclinare irreversibilmente in senso negativo la bilancia ‘costi-benefici’ della vivisezione. Se a ciò si aggiunge che è tutta la ricerca sul cancro che è stata inquinata per oltre mezzo secolo dalla pratica vivisezionista, si avranno pochi dubbi sul prezzo inaccettabile che questa ha fatto pagare ai cittadini. (rif. 68) Eppure la lista delle conseguenze negative non è ancora terminata.
rif.:
57) Nature, 416 (2002): 461; cfr. anche l’editoriale di The Lancet, 356 (2000), 1205.
58) Le informazioni che seguono sulla storia della connessione tra fumo e tumore prima della Seconda Guerra Mondiale derivano dall’importante Proctor 1999.
59) Proctor 1999, p. 184.
60) Così nel 1962 il “Tobacco Industry Research Committee”, messo in piedi dall’Industria del tabacco (cfr. Glantz et al. 1996).
61) Sharpe 1994, p. 136.
62) Greenstein 1954, cit. in Greek, Greek 2001, p. 144.
63) Northrup 1957, p. 133 (cfr. Reines, sul sito ) .
64) Larson et al. 1961, p. 427, cit. da Reines (sito ).
65) Dunn 1975, p. 61, cit. da Reines (sito ).
66) L’articolo cui Cameron si riferisce è Wynder et al. 1953.
67) Vedi soprattutto Fano 1997 e, per una sintesi con riferimenti bibliografici, Sharpe 1994.
68) Un eminente biostatistico statunitense, Irwin Bross, ha scritto: “L’estrapolazione quantitativa da modello animale a umani è poco più che un’implementazione algoritmica di superstizioni primitive. Peggio ancora, le superstizioni usate per ‘giustificare’ il massacro degli animali hanno avuto come effetto una ‘chemioterapia eroica’, esposizioni eccessive a radiazioni ionizzanti, e altre forme di cattiva pratica nel trattamento del cancro” (Bross 1987, p. 82).
Fonte: http://www.hansruesch.net/articoli/bigi03.pdf
Vedi: http://www.hansruesch.net/risorse.htm
vedi anche:
Pseudoscienza nella scienza biomedica contemporanea: il caso della vivisezione
http://www.facebook.com/photo.php?fbid=514425195301998&set=a.470063883071463.1073741831.469925656418619&type=1&relevant_count=1
- §4. Giustificazioni ‘generali’: http://www.facebook.com/photo.php?fbid=494260677318450&set=a.470063883071463.1073741831.469925656418619&type=3&src
- §5. L’estrapolazione da una specie all’altra.
http://www.facebook.com/photo.php?fbid=494661230611728&set=a.470063883071463.1073741831.469925656418619&type=3&src
- §6. Fragilità dei dati
http://www.facebook.com/photo.php?fbid=494664513944733&set=a.470063883071463.1073741831.469925656418619&type=3&src
- 6.3 Cervelli anormali; 6.4 Problemi di metodo e di pratica sperimentale; 7. Esperimenti su persone:
http://www.facebook.com/photo.php?fbid=519988514745666&set=pb.469925656418619.-2207520000.1379361336.&type=3&src
- 8. Quanto valgono i test su animali?; 9. “Metodi alternativi: a che cosa?”
http://www.facebook.com/photo.php?fbid=522289087848942&set=a.470063883071463.1073741831.469925656418619&type=1&relevant_count=1
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