lunedì 16 settembre 2013

Quanto valgono i test su animali?

Hans Ruesch per l'abolizione della vivisezione. Ora. 8. Quanto valgono i test su animali? Prima di essere legittimata e inclusa in normative, la vivisezione avrebbe dovuto essere valutata come qualsiasi test in termini della sua affidabilità predittiva. (rif. 53) Alla luce della discussione precedente possiamo tranquillamente congetturare che ciò non è mai avvenuto, almeno in maniera attendibile. La congettura risulta rafforzata dalle semplici considerazioni seguenti. Limitiamoci alla tossicologia per semplicità di esposizione. Diciamo veri positivi (risp. veri negativi) i casi in cui una sostanza è tossica (risp. non tossica) sia sull’uomo, sia sugli ‘animali’. La sensibilità S (risp. specificità S’) della vivisezione in tossicologia è, per definizione, il tasso di veri positivi (risp. negativi). I valori predittivi positivo e negativo della vivisezione si definiscono in modo naturale, rispettivamente, come la probabilità che una sostanza che sia tossica (risp. non tossica) su ‘animali’ sia tale anche nell’uomo. Nella tabella qui sotto a+b+c+d è il numero totale delle sostanze finora messe alla prova. Tabella a pag.18: http://www.hansruesch.net/articoli/bigi03.pdf È chiaro che dalla vivisezione dovremmo esigere un’alta sensibilità (per tutelarci contro sostanze tossiche che altrimenti sfuggirebbero al test), ma anche un’alta specificità (per evitare di buttar via sostanze utili come penicillina, aspirina e fagioli!). Ora, un requisito essenziale perché la valutazione della vivisezione nei termini suddetti sia corretta, è che i dati di partenza su cui si fonda, e cioè quelli delle prove sugli ‘animali’ e sugli umani, siano stati ottenuti indipendentemente. Altrimenti si rischia di creare grossolani effetti di selezione che invalidano l’intera procedura. In effetti, data l’ambiguità della vivisezione, se si sa in anticipo che una sostanza è tossica per l’uomo, allora è molto probabile (cfr. §§ 6.1, 10) che prima o poi - e per lo più con disperanti ritardi - si riuscirà ad ottenere su ‘animali’ un risultato che qualche ‘autorità’ sarà disposta a classificare come ‘analogo’. Purtroppo nella maggioranza dei casi, i dati ‘positivi’ su animali sono stati ottenuti dopo che già si avevano dati definitivi o almeno ‘forti sospetti’ relativi all’uomo. Ne vedremo un esempio molto importante nella sezione 10. Viceversa, per avere dati abbastanza completi, si sarebbe dovuto aspettare l’esito delle prove su umani anche se risultati su ‘animali’ avevano segna- lato la tossicità di una sostanza. Ma neanche questa condizione è soddisfatta: infatti in un gran numero di casi, essendo in vigore regolamenti che escludevano dall’ulteriore sperimentazione sull’uomo sostanze risultate tossiche sugli ‘animali’, le prove sull’uomo non sono mai state eseguite. Come ha ammesso un noto vivisettore britannico, Michael Festing [1997], la probabilità che una sostanza tossica su ‘roditori’ lo sia anche sull’uomo non è in realtà calcolabile: [...] l’ipotesi che il composto non è un cancerogeno per l’uomo anche se è un cancerogeno per i roditori potrebbe essere controllata, anche se ciò è difficile e raramente tentato. In altre parole, un dato fondamentale per risolvere il problema del valore predittivo della vivisezione (e precisamente i valori a e b nella tabella) è “difficile” da stabilire, e “rar[o]” che ci si provi. Bisogna d’altra parte notare che, proprio a causa dell’ambiguità e contraddittorietà della metodologia vivisezionista, i suddetti regolamenti non sempre hanno impedito il successivo passaggio all’uomo (§11). Il lettore potrà trovare illuminante a tale proposito che esiste un’intera industria, quella dei rodenticidi, che si occupa della produzione e commercializzazione di sostanze letali per i roditori ma più o meno innocue per l’uomo e altri animali! (rif 54) L’esito di questa analisi è semplice: quali siano genuinamente i veri positivi e i veri negativi della vivisezione in tossicologia non è possibile saperlo. D’altra parte, come abbiamo visto, le condizioni che impediscono questa valutazione sono tali da far sopravvalutare sistematicamente specificità e sensibilità. Pertanto le percentuali che si trovano nella letteratura sono soltanto limiti superiori, verosimilmente molto esagerati. In altre parole, anche a prescindere dalle considerazioni già esposte che mostrano l’intrinseca inconsistenza della vivisezione, si dovrà ammettere che: 1) non esistono stime oggettive delle virtù della vivisezione in quanto test di tossicità (o di efficacia ecc.); 2) le modalità in cui questa pratica è gestita dall’establishment biomedico ne aumentano artificiosamente il ‘punteggio’. Questo è un fatto che sembra sfuggire alla maggioranza dei vivisezionisti, compresi quelli che dirigono importanti agenzie sanitarie internazionali. Vedremo però adesso che anche nella letteratura ufficiale si sta ormai facendo strada la nozione che la validità dei test vivisezionisti non è ‘ancora’ stata dimostrata. 9. “Metodi alternativi: a che cosa?” La situazione descritta è anche responsabile dello stallo in cui da decenni, anche se con qualche recente schiarita, (rif. 55) si sono trovati i proponenti di metodi “alternativi” alla vivisezione. In effetti la richiesta di dimostrare che il nuovo metodo è ‘almeno tanto buono quanto’ quello vecchio è molto difficile da soddisfare... perché in realtà nessuno ha dimostrato che il metodo vecchio funziona! Pietro Croce l’aveva chiarito a sufficienza già all’inizio degli anni Ottanta nel suo importante saggio critico, in un capitolo intitolato come la presente sezione. (rif. 56) Ma ormai ciò è riconosciuto anche nella letteratura ufficiale. Sei anni fa Nature ha pubblicato un articolo dove si legge: Test alternativi si sono dimostrati difficili da sviluppare per due ragioni principali. Primo, gli scienziati sono ostacolati dalla mancanza di dati forti sui test su animali attualmente in uso, perché l’industria è riluttante, per ragioni commerciali, a rendere disponibili i propri fascicoli a sviluppatori indipendenti di test. L’industria è anche riluttante a fornire a persone esterne le sostanze chimiche di cui hanno bisogno per valida- re nuovi test. Si noti bene: la documentazione indispensabile per stabilire in che misura le prove di tossicità su animali funzionino non è pubblicamente disponibile, e non è accessibile nemmeno ai professionisti del settore: è tutelata da segreto industriale. Il testo prosegue: Secondo, i test alternativi devono dimostrarsi uguali, o migliori, dei test su animali, anche se per la maggior parte dei test su animali non è mai stato dimostrato che essi siano i migliori modelli della tossicità umana. [Abbott 1996] In altri termini, se per caso un test ‘alternativo’ riuscisse a riprodurre i risultati della vivisezione ciò probabilmente indicherebbe che esso in realtà non vale granché. L’anno dopo Festing conferma, seppure in maniera contorta, questo giudizio: Sospetto che la qualità scadente degli attuali progetti sperimentali sta portando a imprecisioni che rendono estremamente difficile la validazione di test alternativi in vitro e a breve termine. [Festing 1997, p. 321] Mi sembra che queste dichiarazioni chiariscano a sufficienza in che tipo di pantano metodologico si trovi oggi la ricerca tossicologica a causa della sopravvivenza della fede vivisezionista. Di fronte a tale confusione e mistificazione anche il moderatissimo Select Committee on Animals in Scientific Procedures britannico si è sentito in dovere di emettere nel 2002 i seguenti parere e raccomandazione: "8. Si è concluso che l’efficacia e l’affidabilità dei test animali è indimostrata. Si è raccomandato che l’affidabilità e la rilevanza di tutti i test animali esistenti sia rivista con urgenza. [HL 2002, p. 80]" Per illustrare le conseguenze di questo stato di cose, che i professionisti del settore hanno, a partire da Bernard, sistematicamente rimosso e negato, ci soffermeremo su un esempio molto chiarificatore di come ‘funzioni’ la tossicologia vivisezionista (§10), e passeremo poi a discutere le conseguenze dell’uso della vivisezione nell’iter di approvazione di nuovi farmaci (§11). rif.: 53) Cfr. per le nozioni utilizzate in questa sezione, Morabia 1999. 54) Sharpe 1994, p. 141. 55) (- -) (1999b). The Nazi War on Cancer, Princeton University Press, 2000. 56) Rees J. (2002). “Complex Disease and the New Clinical Sciences”, Science, 296: 698- 701. Fonte: http://www.hansruesch.net/articoli/bigi03.pdf Vedi: http://www.hansruesch.net/risorse.htm vedi anche: Pseudoscienza nella scienza biomedica contemporanea: il caso della vivisezione http://www.facebook.com/photo.php?fbid=514425195301998&set=a.470063883071463.1073741831.469925656418619&type=1&relevant_count=1 - §4. Giustificazioni ‘generali’: http://www.facebook.com/photo.php?fbid=494260677318450&set=a.470063883071463.1073741831.469925656418619&type=3&src - §5. L’estrapolazione da una specie all’altra. http://www.facebook.com/photo.php?fbid=494661230611728&set=a.470063883071463.1073741831.469925656418619&type=3&src - §6. Fragilità dei dati http://www.facebook.com/photo.php?fbid=494664513944733&set=a.470063883071463.1073741831.469925656418619&type=3&src - 6.3 Cervelli anormali; 6.4 Problemi di metodo e di pratica sperimentale; 7. Esperimenti su persone: http://www.facebook.com/photo.php?fbid=519988514745666&set=pb.469925656418619.-2207520000.1379361336.&type=3&src

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